Le mie amiche sono streghe.
Credono alla magia, alle pozioni misteriose, ai massaggi miracolosi: si incantano di fronte a storie di strane malattie e cercano rimedi a problemi che io non vedo.
E poi si appassionano alle verdure del contadino, senza chiedersi chi sia questo contadino e perché le sue verdure dovrebbero essere migliori di quelle del super che mangio io.
Perché il contadino per loro è un personaggio mitico, fiabesco, puro, capace di coltivare broccoli perfetti. Mentre il super è un dispenser di veleni della modernità, i quali notoriamente creano disturbi terribili. Tipo intolleranze alimentari di cui non esiste traccia nella letteratura scientifica, allergie inventate per l’occasione, oppure situazioni innegabilmente fastidiose (tipo l’insonnia) attribuite, senza nessun legame logico, a comportamenti e sostanze della modernità. A caso. Tipo: la carne di maiale.
“Quando mangio la carne di maiale poi non dormo”. “Che c’entra la carne di maiale, scusa?”. “È così”. Ciao, fine della discussione*.
La cosa per me stupefacente è che si può sostituire “insonnia” e “carne di maiale” con qualsiasi cosa appartenga agli ambiti semantici “fastidiosi disturbi” e “alimenti malvagi della modernità” e customizzare la questione in barba a secoli di epistemologia.
Provate con “mani screpolate” e “formaggio baccellone” o “stitichezza” e “lambrusco sgasato”. E avrete il vostro statement insensato ma molto personale sui veleni della modernità. Nonché un punto in più sul vostro certificato di sensibilità femminile.
Se poi i disturbi non ci sono è anche peggio, perché la modernità uccide in silenzio, per esempio “coi farmaci”. E se io obietto che sono più le persone che vivono grazie ai farmaci rispetto a quelle che muoiono, grazie ai farmaci, si insinua in loro il dubbio che io sia quantomeno un po’ ottusa. Il male invisibile è il peggiore: non lo sai?
Ma per fortuna i disturbi ci sono quasi sempre. Perché le mie amiche adorano avere un qualche problema di salute da curare con un qualche rimedio alternativo.
Alternativo a cosa? Chiedo io ingenua. Alternativo a quelli della modernità.
Tipo alghe secche da diciassette euro al barattolo e bacche cinesi a chilometri diecimila (“ma il tuo contadino a chilometri zero non potrebbe farsi mandare i semi dalla Cina?” “ma no, dai, sono bacche cinesi tradizionali…”). E poi fumacchi di incenso, giuro, persino con la variante, giuro, “fumacchi di incenso da far svaporare sotto ai piedi” (“Che c’entrano i piedi, scusa?”. “Ci sono i centri nervosi del marameo, no?”).
Per il suddetto problema di salute spesso le mie amiche trovano il santone che con qualche seduta glielo risolve. Altrimenti si limitano a parlarne, molto a lungo, con un incessante lavoro dialettico di ricerca dei caratteri che rendono quel disturbo unico, mai manifestatosi sul pianeta Terra, solo loro e tutto loro. E nella straordinarietà di quel disturbo, le mie amiche trovano un po’ della propria identità.
Infine le mie amiche partoriscono e lì, anche se hanno un PhD in chimica organica, comincia un periodo di magia nera acutissima. Se sia colpa degli ormoni non lo so.
Le ho osservate mentre studiavano il modo di rompere i coglioni a un neonato normalissimo e bello, solo giustamente frignone. Le ho sentite parlare di frenologia. Le ho viste rinnegare Lorenzo Romano Amedeo Carlo, per semplicità Amedeo, Avogadro.
Perché il must have di ogni neomamma-neomaga sono le colichette. Dico: i neonati fanno tre cose, cioè dormono, cacano, piangono. Se piangono e poi dormono, voi dite che avevano sonno. E vabbè. Ma se piangono e poi cacano, voi dite che avevano le colichette. E se piangono e non cacano voi dite che hanno le colichette uguale. Ma così diventa un à rebours ossessivo. Che poi si liquefa in infusi, tisane, goccioline qualcosopatiche, alternative a tutto, sortilegi, terapie mistiche, teriache inquietanti.
E loro: “ma poverino: non lo vedi che piange?”.
Ora. Io apprezzo la bontà, davvero. Forse non la pratico, ma la apprezzo.
E so che dietro la stregoneria delle mie amiche c’è un’idea di bontà: un’idea che io che sono un’enorme scassapalle a volte trovo semplicistica, ma non posso non riconoscere che sia un’idea di bontà. Verso se stesse e forse anche verso il pianeta.
Ma quello che mi sta sulle scatole, della stregoneria, è che dietro c’è anche l’idea di una superiorità morale. Nei confronti miei e degli aridi razionalisti come me, ma anche nei confronti di quelli che fanno la spesa al discount per risparmiare, e di quelli che hanno un problema di salute vero, serio, e ogni volta che si svegliano ringraziano la chimica e la medicina scientifica.
E la superiorità morale la detesto.
Perché è così che viene venduta oggi la stregoneria: come una cosa “migliore” per persone “migliori”.
Ma chi lo ha detto che ci sono broccoli moralmente superiori ad altri broccoli? E perché le bacche cinesi sì e il mio broccolo no? Perché credete che chi si cura con le goccioline di acqua e zucchero sia “migliore”, più furbo e più pulito, degli altri?
Siamo onesti: va benissimo vendere e fare business sui broccoli e sulle teriache finché c’è chi ci spende soldi e non ne ha nocumento. Va molto meno bene propugnare una differenza morale tra chi fa cose normali della modernità e chi si fa guidare da un’idea di bontà che, semplicemente, porta su un altro libero mercato. Un libero mercato, punto e basta. In cui si vendono pozioni magiche, sebbene mascherate da elisir di promozione morale.
E io, che sono amica di streghe e fattucchiere, so bene che loro non sono né migliori né peggiori di me.
*Avevo sedici anni. Il dialogo fu davvero quello. La mia amica aggiunse anche: “Secondo te mi diverto a rinunciare al salame?”.
p.s.: Questo post torna a far vivere il blog dopo mesi di silenzio.
Non so se vi interessa, ma se state leggendo qui forse un po’ mi devo spiegare. È successo che ho cambiato un paio di cose nella mia vita e nel mio lavoro. Ho viaggiato, e ho apprezzato la solitudine. Ho cominciato a spendere meglio il mio tempo. Ho fatto progetti e coltivato idee.
Ma ho anche avuto problemi con la mia ombra: la mia (minuscola) immagine pubblica, che da un po’ di tempo in qua mi cammina accanto. È minuscola, ma attira tante attenzioni: riceve mail su mail e pretende di rispondere a tutte. Viene alle feste con me e mi impedisce di essere disinvolta. È corteggiatissima, e fa finta di niente. Mi picchietta sulla spalla tutte le volte che provo a riposare e a prendermi un giorno solo di silenzio. Ed è perfetta, o quasi: è sempre intelligente, lucida e brillante.
Solo che io accanto a lei mi sento una schifezza.
Devo imparare a gestirla, lo so, e ci sto riuscendo. Ma per un paio di mesi sono riuscita solo ad arrabbiarmi e a negarle l’unico posto il cui accesso sia deciso solo da me. Cioè questo blog.