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Scienziati-fino-a-un-certo-punto e Bacone che piange: ma io che cosa ci posso fare?

Disclaimer: Esco da un paio di settimane assai pesanti per via di un’inattesa popolarità conquistata parlando di £%&$**#. Siccome vorrei evitare di trovare altre minacce e insulti nelle mie caselle di posta, e siccome mi potrebbe capitare di accennare di nuovo a £%&$**#, da oggi in poi userò il seguente insieme convenzionale di segni grafici per riferirmi a £%&$**# senza dire £%&$**#: £%&$**#. Chiaro?

Ho notato uno strano fenomeno.
Ci sono scienziati, rigorissimi e molto bravi nel proprio ambito disciplinare, che perdono completamente la Trebisonda quando si tratta di argomenti distanti dai propri. Fino a comportarsi da non-scienziati.
Galileiani di ferro dentro casa, dubitabondi viaggiatori della realtà fuori dal portone.
Io li chiamo Scienziati fino a un certo punto: il loro punto.
Del tipo: esistono fisici che quando hanno il raffreddore si comportano come se Amedeo Avogadro non fosse mai nato. E che quando vanno al supermercato fanno acquisti tra i banchi ortofrutta guidati da principi salutistici mai provati, e mai messi in discussione. Esistono ovviamente anche biologi che leggono l’oroscopo e medici che non sono del tutto convinti che i terremoti non si possano prevedere.
Gli Scienziati fino a un certo punto sono prima di tutto esseri umani e di fronte a certe paure, come in tanti altri casi, non sono affatto diversi dalla signora Marisa del piano di sotto. Loro tendono a pensarla un po’ ignorante, la Marisa del piano di sotto, ma dovrebbero ricordarsi che tutti lo siamo, quando trattiamo cose che non conosciamo. E che tutti, chi più chi meno, abbiamo la tendenza ad affidarci a qualche pensiero magico e consolatorio a cui attribuire i problemi del mondo.

In genere lo schema è questo: c’è un problema.
Un problema che ci tocca di persona o che ci sconvolge particolarmente: bambini che soffrono, catastrofi naturali, malattie ineluttabili.
Non c’è un colpevole e spesso nemmeno la soluzione.
Cerchiamoci un colpevole e/o la soluzione.
Il colpevole: la cosa più facile è inventarcelo lontano e generico: la politica, le multinazionali (in genere del farmaco o dell’energia), la Nasa, il potere…
Attenzione: questo vale anche per cose molto precise, problemi molto circoscritti, e per narrazioni giornalistiche semplicistiche, le più efficaci. E in genere questo passaggio mette d’accordo tutti, Scienziati fino a un certo punto e Marise del piano di sotto.
La soluzione. Qui le cose si fanno più complesse perché potremmo volerci affidare alla giustizia oppure volerci svincolare dalle cose ufficiali (ricordiamo: sinonimo recente di cattivo, in contrapposizione a naturale, sinonimo recente di buono) e fare come quella che al TgR ha spiegato di curarsi con limone e peperoncino. Come ci sono diverse sfumature di colpevolezza, reale o magica, ci sono anche diverse sfumature di soluzioni, dalla più razionale e magari comprensibile a quella completamente fuori di melone. Solo che qui si agisce: si comprano pasticche di zucchero o si va dall’avvocato. A volte si combinano guai. E anche questo vale per la Marisa come per lo Scienziato fino a un certo punto.

L’esperienza degli ultimi giorni mi ha però aperto una prospettiva nuova. Ci sono persone, non poche, magari anche socialmente orientate e per altri versi sensate, che cercano un colpevole anche se il problema non c’è.
Cioè seguono il procedimento inverso: ho un colpevole, mi invento la colpa.
(E intanto Bacone piange).
Per me, che sono una scettica che ormai non crede più a nulla e tra un po’ comincerà a difendere i poteri forti solo perché si è rotta le balle di sentir attribuire loro più colpe di quelle che certe donne danno alla triade (mestruazioni + tempo + finta intolleranza alimentare)*, per me questa è la cosa più difficile da capire. È come voler soffrire a tutti i costi, come inventarsi una malattia che non si ha, come credere che qualcuno mi voglia davvero morta mentre a nessuno interessa un fico di quello che faccio.
Siccome poi questo colpevole può cambiare da una persona all’altra (poniamo che a me stiano antipatici gli americani, a un altro i cinesi), e siccome risalendo dal colpevole a una colpa indefinita si possono aggiungere dettagli per tutti i gusti (dagli alieni agli Ogm, dai terremoti all’energia nucleare), procedendo in questo modo si possono inventare storie per tutti i gusti.
Tipo: i portoghesi tramano per diffondere Ogm capaci di scatenare terremoti proiettando energie cosmiche lungo le coste attraverso il controllo del baccalà… e così via. Inventatevi la vostra storia.
Poi cercate su Google: può darsi che ci sia già chi la propala a mezzo web.

Ora, posto che io di mestiere scrivo per la signora Marisa e per lo Scienziato fino a un certo punto (che, abbiamo detto, dal punto di vista percettivo sono quasi sempre la stessa cosa), ma ahimè anche per quelli che ragionano colpevole -> colpa, come mi devo comportare?
Per di più oggi tu scrivi un articolo e la gente ti manda una mail, personale, per commentare. Oppure ti twitta. E, oh, ti tocca rispondere. Almeno quasi sempre, diciamo una volta su due. È come aprire uno sportello elettronico disagi vari, senza che però nessuno ti dia i 5 cents di Lucy. A quelli che fanno piangere Bacone devo rispondere? Serve? Fa parte del mio lavoro o, almeno, della mia missione su questo pianeta? (Come quale pianeta? Sto parlando di Nibiru, è ovvio).
E allo Scienziato fino a un certo punto che cosa devo dire? Mi ci devo arrabbiare?
Alla fine, mi capirete, la mia preferita è sempre la signora Marisa. Soprattutto perché la signora Marisa non sa come rintracciarmi su Facebook.

(Ah: sono arrivata fin qua senza scrivere £%&$**#. Sono soddisfazioni).

 

* Adesso mi aspetto che qualcuno mi dia della misogina e poi siamo a posto. Lo dico perché, essendo donna anch’io, raccolgo confidenze di altre donne e noto la tendenza di attribuire un sacco di colpe a quella triade là. Ma a volte anch’io lo faccio, eh. Certo. Eh.

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