Successe anche ad Einstein. Lui era lì, che credeva di parlare a un giornalista almeno un po’ interessato alla sua teoria della relatività generale, e invece aveva davanti Henry Crouch, un affermato cronista sportivo esperto di golf. E non era stata la Gazzetta di Scubidù a mandarglielo: era il New York Times che aveva deciso di affidare l’intervista al buon Crouch. Incurante del fatto assai ovvio che Crouch di fisica non capisse una mazza.
Non andò meglio con The Manchester Guardian, oggi The Guardian, che a intervistare Einstein mandò l’importante critico musicale Samuel Langford. Pare che il suo commento alla conversazione con Einstein sia stato un secco platitude! cioè: banalità!
Secondo alcune fonti informate meglio di me* è così che sono nate alcune false citazioni, distorsioni, mistificazioni e fraintendimenti popolari sul pensiero di Einstein. Quelle robe che girano ancora su internet, per intenderci, che nessuno va mai a verificare per davvero.
Personalmente, sono contenta di non aver mai conosciuto dal vivo Einstein solo perché di scienziati amici che si lamentano con me di incontri con giornalisti sbagliati ne ho già tanti. Hanno ragione, in genere: ma non so che cosa farci. Io, se avessi avuto Einstein davanti, mi ci sarei fatta d’oro per anni: sarei ancora lì a taggarmi su Facebook per fare la sbruffona coi colleghi, altro che platitude**.
Per giornalisti sbagliati intendo giornalisti magari molto competenti su settori distanti da quello di cui si sta parlando ma poco ferrati sulle questioni della scienza, e quindi spesso vittime (e artefici) di errori o di malintesi. A volte, poi, se uno è molto competente e stimato come giornalista, può anche avere qualche difficoltà ad ammettere la propria ignoranza in certe aree della cultura, oppure ad ammettere l’importanza delle aree della cultura in cui è consapevole di essere ignorante. È comprensibile e molto umano, come quel banalità! di Langford. Però un po’, lo ammetto, fa incazzare, soprattutto se il giornalista si è deciso a dimostrare che, in ogni caso, lo scienziato sbaglia.
E qui potremmo discuterne a lungo: è abbastanza prevedibile che un esperto di golf e un critico musicale abbiano qualche difficoltà ad affrontare, da un giorno all’altro, la relatività generale. Del resto, io che mi occupo di scienza da anni ne ho di enormi. Va detto anche che nessuno mi ha mai chiesto di scrivere un pezzo sul golf né ho mai recensito il nuovo album di un gruppo punk. Non saprei da che parte cominciare e finirei per sentirmi molto cretina.
Ma quello che mi chiedo è: se a quel tempo fossero esistiti i giornalisti scientifici, ed Einstein si fosse trovato di fronte, comunque, per un qualsiasi malinteso, Crouch e Langford, che cosa avrebbe potuto fare e che cosa avrebbe realmente fatto? E quando oggi uno dei miei amici scienziati capisce di avere di fronte magari un bravo giornalista, ma a cui non sarà capace di spiegare il suo punto di vista nemmeno in mezz’ora di intervista, che cosa deve fare? E che cosa fa?
Una risposta non ce l’ho.
Ci sono situazioni in cui ai miei amici scienziati dico ma tu hai provato a chiedere se avessero un collega specializzato in temi scientifici?, nel tentativo di fare un po’ di promozione alla mia categoria. Anche se è un tentativo maldestro, perché ognuno fa il suo mestiere e, boh, magari l’incomprensione tra lo scienziato e il giornalista è nata per l’atteggiamento di chiusura del primo, più che per l’ignoranza (per quanto spesso esibita con orgoglio) del secondo. Può succedere e sicuramente succede.
A volte cito la massima che dice non lamentatevi dei giornalisti cattivi: semplicemente chiedetene di buoni. Che poi è la stessa cosa, ma suona molto meglio e può essere anche usata per gli addetti stampa e uffici comunicazione vari.
A volte offro una spalla per piangere.
A volte mi metto a pontificare e parto col rimbrotto: scienziati e giornalisti scientifici dovrebbero essere alleati nella promozione di un dibattito culturale, sociale e politico di qualità, in cui la scienza è uno degli elementi chiave. E voi che cosa fate? E vai di filippica sulle chiusure e la presunzione dello scienziato italiano, sulle responsabilità dello scienziato che lavora coi soldi pubblici, sul dialogo con la politica, l’ignoranza del nostro ruolo e così via.
Ma da un po’ di tempo in qua ho cambiato linea. Parlo esplicitamente di mercato. E spiego: sappiate che i Crouch e i Langford oggi in Italia sono tantissimi e che noi giornalisti scientifici ne siamo le prime vittime, semplicemente perché se sulle cose di scienza lavorano loro (e senza nemmeno divertirsi) non lavoriamo noi che (non solo ci divertiamo a parlare di scienza, ma anche) vorremmo viverci.
Per cui una ricetta non ce l’ho, ma una modesta proposta sì. La prossima volta che vi trovate davanti un Crouch o un Langford e che, succeda come succeda, travisano le vostre frasi e vi fanno dire cose strane e poi esce un pezzo strampalatissimo o un servizio montato in maniera balenga, non aggiungete tormento a tormento. Lasciate che siamo noi a lagnarci per primi.
*L’ho trovata in un libro di Bryson che a sua volta cita Bodanis, e ho trovato alcune fonti su internet.
** Einstein è morto ventidue anni prima che io nascessi. È capitato anche ad altri. Come vedete dalla documentazione fotografica qui sopra allegata, con Darwin mi è andata meglio.